Salone troppo rosa e arancio, allarme dell’Autorità europea

Tra i pesci maggiormente consumati sulle tavole di mezzo mondo, vi è sicuramente il salmone. In tutto il pianeta, infatti, è stato calcolato che ogni anno se ne consumano ben tre miliardi. Tra le principali caratteristiche che contribuiscono al suo successo, oltre al tipico gusto, vi è senz’altro il tipico colore rosa-arancio della sua carne, che tutti diamo per scontato sia frutto sempre e solo della natura e della sua alimentazione. La realtà, purtroppo, è che nella gran parte dei salmoni di allevamento, la colorazione dipende da una sostanza chimica che viene aggiunta nel mangime. È ciò è determinato dalla provenienza dei pesci: i salmoni selvatici sono naturalmente rosa poiché si nutrono di gamberetti e altri crostacei, ma sul mercato sono la parte minore (meno di 500’000 tonnellate in tutto il mondo e provenienti soprattutto dell’Alaska).
La maggioranza, infatti, proviene dagli allevamenti, concentrati in Norvegia, Cile, Scozia e pochi altri paesi. Il salmone di questo tipo si nutre principalmente di farina di pesce, olio di pesce e altre sostanze (non gamberetti). Di conseguenza dovrebbe avere una carne bianca o grigia. Gli studi di marketing, però, hanno dimostrato che questa versione “pallida” non attrae, o che comunque i consumatori non sarebbero disposti a spendere molto per acquistarlo. Per ovviare a questo problema è intervenuta l’industria farmaceutica, che è riuscita a ricreare in laboratorio il colorante, chiamato astaxantina (dal greco “astacus”, granchio).
La prima azienda a commercializzare questa sostanza è stata una multinazionale svizzera che dal 2003 l’ha ceduta a una oldandese. Ma sul mercato ci sono oggi anche altri prodotti. Molti si sono chiesti, quindi, se questo componente sia sicuro per la salute dei consumatori. Per l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) non sussiste alcun problema. Il tossicologo Gabriele Aquilina – che assieme a un team di esperti è stato incaricato di valutare gli effetti dell’astaxantina – ha sottolineato che “gli studi non hanno evidenziato alcun rischio per la salute umana”.
Senza l’aggiunta di astaxantina la carne sarebbe pallida. “Sul metodo di valutazione, però – afferma una nota dello sportello dei diritti – c’è più di un aspetto che merita attenzione. La prassi, infatti, vuole che sia la stessa azienda ad incaricare e finanziare un laboratorio per esaminare l’eventuale tossicità del suo prodotto. Ed è su queste analisi che poi si basa la valutazione degli esperti EFSA.
Come si fa, dunque, ad essere certi dell’oggettività di questi esami? Secondo Aquilina – riferisce una nota dello Sportello dei diritti – le regole stringenti sulla tracciabilità delle sperimentazioni rappresentano una garanzia: se il laboratorio commettesse delle irregolarità, verrebbe depennato dalla lista dei centri accreditati. Resta da chiarire, però, il motivo per cui l’EFSA preferisce non rendere noto il nome del laboratorio. Anche la filiera produttiva del salmone non è sempre trasparente al 100%. Nella maggior parte dei casi, sulle confezioni viene indicato solo il paese di provenienza, ma non il singolo produttore.
In Svizzera, per esempio, in un’inchiesta giornalistica appositamente dedicata è stato chiesto a tre dei principali gruppi della grande distribuzione elvetica d’indicare la provenienza esatta dei salmoni le maggioranza non ha voluto dichiarare il nome dell’allevamento. Insomma per Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, è necessario che si faccia presto chiarezza con analisi indipendenti, perché se dovesse evidenziarsi qualsiasi potenziale conseguenza per la salute dei consumatori, sarebbe sempre meglio mettere sul mercato un salmone “pallido” e sano che rosa e tossico.

Salmone troppo colorato